Nei secoli infedeli, storie scellerate di militari, spie e carabinieri

Gli anni di piombo ci hanno portato esempi di uomini coraggiosi appartenenti alle Forze dell’Ordine, non sempre ricordati in modo dovuto, comunque figure spesso isolate dal sistema, in qualche modo martiri o eroi solitari. Leggendo gli atti processuali, invece si trovano, molto più frequenti, casi diametralmente opposti, in sostanza un’enormità di militari e funzionari profondamente corrotti, ambiziosi, senza scrupoli, senza regole, opportunisti, cinici e dalla spietatezza illimitata. Armigeri che hanno agito come mandanti o complici di terroristi di destra; torturatori di quelli di sinistra o di ignari sventurati; golpisti, impostori, ufficiali assetati di potere e teorici della guerra psicologica. Una vera “anima nera” nello Stato che ha tirato le fila della strategia della tensione. Quindi, per arrivare al dunque, ecco qui una lunga rassegna di testimonianze su fatti e personaggi oltremodo incresciosi, tutt’altro che sporadici, assolutamente riprovevoli:
Nel quartier generale del Duce
Uno dei fattori che mi colpì maggiormente al momento del mio arrivo in Italia e del mio ingresso nell’unità di crisi del Governo fu la presenza di tanti elementi fascisti così vicini alle stanze del potere. La prima volta che misi piede negli uffici dell’unità di crisi ebbi l’impressione di ritrovarmi nel quartier generale del Duce, di Mussolini. Avevo di fronte a me, tra l’élite dirigente, dei dinosauri del periodo mussoliniano e i loro giovani cloni. Erano per lo più esponenti dei servizi segreti e i più anziani erano autentici ex fascisti. Cossiga mi aveva avvertito della loro presenza e della loro capacità di disturbo.
(Steve Pieczenik, consulente inviato dagli USA per la gestione del sequestro Moro nel 1978).
Saluti romani
Ci accadde a Cortona, a Camucia, nella quale in piena notte a 110 all’ora infilammo uno stop e trovammo dei Carabinieri. (…) Noi avevamo della roba a bordo (armi ed esplosivi), io dissi: «Vai, è finita». Invece Augusto (Cauchi) scese, sbatté la portiera, si avvicinò a questi Carabinieri, gli fece un mezzo saluto romano, si strinsero la mano, io guardavo e dissi: «Cavolo! Siamo cascati bene allora».
(Andrea Brogi, ordinovista, poi condannato per attentati ferroviari).
Più armi per tutti
Effettivamente mi risulta che il Bistocchi venne contattato da un ufficiale dei Carabinieri e sia lui che il Bertazzoni mantennero contatti con questa persona. Io stesso fui avvicinato, precedentemente da un sedicente ufficiale dei Carabinieri che mi propose di collaborare organicamente nell’ambito di una struttura anticomunista. Questa persona mi disse che avremmo avuto a disposizione armi e quant’altro fosse servito.
(Graziano Gubbini, estremista di destra, appartenente a Ordine Nuovo).
Carabinieri da incubo
Il Signorelli aveva amicizia con ufficiali dell’Arma: ricordo che il capitano dei Carabinieri Pappa di Tivoli, poi arrestato per questo motivo sulla base delle dichiarazioni di Tisei, ci consegnò sicuramente dei proiettili calibro 9 Parabellum che non riuscivamo a reperire e ci riferiva informazioni che ci riguardavano direttamente. Ricordo che disse a Calore che lui, io e Tisei dovevamo metterci in clandestinità in quanto eravamo stati individuati dall’Sds del dr Santillo.
(Dichiarazioni dell’estremista nero Paolo Bianchi).
Goliardicamente
(…) il livello di intimità era tale che goliardicamente Signorelli, in divisa da Carabiniere, fu fatto partecipare alla perquisizione di un estremista di sinistra.
(Dichiarazioni dell’estremista nero Edgardo Bonazzi).
Al servizio della Benemerita
Io mi ponevo non soltanto in simbiosi, ma agli ordini dei Carabinieri.
(Carlo Fumagalli, capo del MAR, organizzazione terroristica, legata a militari dell’Arma, dedita anche alle rapine e ai sequestri di persona per finanziarsi).
I sanbabilini e i Carabinieri della caserma di via Lamarmora
Una volta entrati ci si fermava nel cortile a chiacchierare con quelli che consideravamo nostri commilitoni ed Esposti spariva per andare in un ufficio ad un piano diverso da quello terreno. Non sono in grado di dire in che ufficio andasse, né se vedesse una sola persona, ho comunque la certezza che egli si recasse ad un piano diverso da quello terreno perché ricordo che lo intravedevamo salire.
(Dichiarazioni dell’estremista Francesco Zaffoni. Esposti, capo di Ordine Nero, all’epoca era latitante, ricercato per attentati dinamitardi).
L’Arma del ricatto
Esposti effettivamente lavorava per l’Arma dei Carabinieri: si era incontrato più volte a Milano con il generale Palumbo, al quale era stato presentato da Servello (deputato del MSI); era ricattato per i fatti di piazzale Lotto.
(Dichiarazioni dell’estremista di destra Nico Azzi. I fatti di piazzale Lotto sono l’omicidio di un benzinaio in una rapina, compiuto da Esposti insieme a Gianni Nardi).
Una bella lezione
(…) sentii dire che un episodio di violenza ai danni di Rame Franca fosse stato compiuto da alcuni tra i quali Angeli Angelo in esecuzione di un’azione studiata dai Carabinieri. Il senso di questa azione era quello di intimidire la moglie di Fo Dario per la sua attività di Soccorso Rosso in favore dei carcerati.
(Dichiarazioni di Angelo Izzo).
Finalmente, era ora
Quella stessa mattina avevo ricevuto un fonogramma nel quale veniva data la notizia dell’aggressione della sera prima a Franca Rame. Il fatto era gravissimo e subito avvertii io stesso il mio superiore, il Generale Giovan Battista Palumbo. In quel momento era serissimo, ma quando gli consegnai quel messaggio, cambiò subito espressione, gioì, come dire: “Finalmente, era ora”.
(Dichiarazioni del Generale Niccolò Bozzo).
Un Leone di meno
(…) tali elementi si riferiscono a complotti di destra alimentati dalla P2 e tre di essi riguardano complotti in mio danno, dei quali non fui ma informato dagli organi responsabili (…) tutti coloro che erano destinati a tutelare la mia persona e la funzione, mi nascondevano non solo gli avvenimenti di carattere generale bensì le informazioni attinenti alla mia incolumità.
(Lettera di Giovanni Leone, ex Presidente della Repubblica, alla Commissione P2).
La grande fuga
Mi riferisco in particolare al capitano dei carabinieri sig. Giancarlo D’Ovidio, il quale, dietro suggerimento del padre dott. Mario D’Ovidio, Procuratore della Repubblica in Lanciano, mi convocò misteriosamente a casa sua e mi mise al corrente del fatto che (…) (era stato spiccato) nei miei confronti mandato di cattura.
(Lettera dell’estremista nero Luciano Benardelli al suo avvocato. Benardelli, avvisato poté fuggire all’estero latitante).
Sbatti l’anarchico in prima pagina
(…) noi sapevamo già che Valpreda aveva la coscienza sporca. Gli abbiamo fatto il vestito addosso, ora mancano le rifiniture.
(Dichiarazioni del Questore Marcello Guida dopo la strage di Piazza Fontana. L’anarchico Valpreda, anni dopo, venne completamente scagionato, la strage era stata organizzata e materialmente eseguita da esponenti di ON del Veneto. E lui non c’entrava niente).
Ma quanto eravamo deviati
Queste deviazioni dei Servizi – chiamiamola pure strategia della tensione – indubbiamente ci sono state, ma non ci sarebbero state in un Paese politicamente sano. Il nostro Paese non era politicamente sano. I Servizi venivano usati per schedare, per – diciamolo pure – ricattare.
(Audizione del Generale Gianadelio Maletti, ex ufficiale del SID, in Commissione Stragi).
I quattro dell’Ave Maria
Il 23 gennaio viene arrestato un fiancheggiatore, Nazareno Mantovani (appartenente alle BR). Iniziamo a interrogarlo noi, lo portiamo all’ultimo piano della Questura. Oltre a me ci sono Improta e Fioriolli. Dobbiamo “disarticolarlo”, prepararlo per Ciocia e i quattro dell’Ave Maria. Lo facciamo a parole, ma non solo. Gli usiamo violenza, anche io. Poi bisogna portarlo da Ciocia in un villino preso in affitto dalla Questura. Lo facciamo di notte. Lo carichiamo, bendato, su una macchina insieme a quattro dei nostri. Su un’altra ci sono Ciocia con i suoi uomini, incappucciati. Fioriolli, Improta e io, insieme ad altri agenti, siamo su altre due macchine. Una volta arrivati Mantovani viene spogliato, legato mani e piedi e Ciocia inizia il suo lavoro con noi come spettatori. Prima le minacce, dure, terrorizzanti: “Eccoti qua, il solito agnello sacrificale, sei in mano nostra, se non parli per te finisce male”. Poi il tubo in gola, l’acqua salatissima, il sale in bocca e l’acqua nel tubo. Dopo un quarto d’ora Mantovani sviene e si fermano. Poi riprendono. Mentre lo stanno trattando entra il capo dell’Ucigos, De Francisci, e fa smettere il waterboarding.
(Dichiarazioni del commissario di Polizia Salvatore Genova sulle torture ai brigatisti).
Il bandito e la madama
Zorzi, su richiesta di un amico detenne a Mestre per una notte, a casa sua, un certo quantitativo di esplosivo. Poi subì una perquisizione e venne arrestato (il 17.11.1968). Successivamente Zorzi venne convocato dal Questore Catenacci, che gli illustrò l’attività anticomunista svolta dall’apparto del Ministero dell’Interno e la necessità, per coloro che avevano a cuore la difesa dei valori dell’Occidente, di aderirvi. Catenacci gli spiegò quindi che il suo arresto era dovuto ad un’azione preordinata da parte della Polizia per dimostrare allo stesso Zorzi l’onnipotenza della medesima, che poteva decidere, ove lo avesse voluto, il destino di una persona. Catenacci chiese quindi a Zorzi di scegliere se aderire a questa battaglia anticomunista alle dipendenze di un apparato dello Stato oppure no.
(Dichiarazioni dell’estremista nero Vincenzo Vinciguerra).
L’amico americano
La responsabilità della strage è interamente dell’estrema destra: uomini collegati con settori deviati dei servizi segreti (…) erano implicati anche alcuni uomini delle istituzioni (…). L’esplosivo venne fornito a uomini di ON da un agente nordamericano che proveniva dalla centrale tedesca e apparteneva al servizio segreto dell’esercito: assai più efficiente della CIA.
(Dichiarazioni dell’ex Ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani su Piazza Fontana).
Con le bombe dell’Esercito
Marco Affatigato ha inoltre confermato che l’intera struttura di ON riceveva bombe a mano SRCM dalle caserme dei paracadutisti di Pisa e Livorno (…). Infatti, al termine degli scontri durante i quali era stato ucciso l’agente (di Polizia) Antonio Marino, erano state rinvenute e sequestrate due cuffiette per bombe a mano SRCM e una bomba inesplosa. Il marchio di fabbrica e i numeri di matricola, in due casi, erano “LPN 10.10.10.70” e nel terzo caso “ELP 10.10.4.64”. (…) La bomba a mano ELP 10.10.4.64 proviene da un lotto di SRCM distribuite alle caserme dei paracadutisti di Pisa e Livorno.
(Sentenza ordinanza su Piazza Fontana del giudice Guido Salvini).
Vogliamo i sovversivi
Prendo atto che dalle dichiarazioni di Calore Sergio, risulta che costui, pur appartenente ad Ordine Nuovo era destinato ad essere utilizzato dagli ufficiali “I” per incarichi di particolare delicatezza e riservatezza. Ciò è possibile in quanto in quanto alcuni miei colleghi ufficiali ritenevano di potersi servire anche di appartenenti a ON e ON, infatti, godeva indubbiamente di simpatie nell’ambiente militare, e in particolare presso i paracadutisti.
(Dichiarazioni del Generale Amos Spiazzi).
W la Guerra
Nella guerra l’uomo si riumanizza, l’uomo cerca nella guerra di ritrovare sentimenti profondi che lo fanno tale. È nella pace che l’uomo esalta i suoi più deteriori aspetti, non nella guerra, anche se la guerra pone in evidenza forme deteriori di esistenza umana; nella guerra l’uomo ritrova la fratellanza, la pietà, il sentimento dell’umanità. E l’uomo non può fare a meno della guerra. Per questo, chi parla di pacifismo parla di cosa astratta e inconcludente. La guerra è connaturata alla natura umana. E come tale il fenomeno è connaturato alla società e con le modifiche della società, il fenomeno acquisisce modifiche profonde (…).
(Generale Adriano Magi Braschi, golpista e teorico della Guerra non ortodossa).
La mia vita per la CIA
Ribadisco con assoluta sicurezza che Soffiati lavorava per la C.I.A. e per gli americani di stanza in Veneto… la posizione di Marcello Soffiati, che ha svolto la mia medesima attività di informazione, era peraltro diversa dalla mia. Infatti egli era in effetti un membro di Ordine Nuovo di Verona e quindi la sua attività e quindi la sua ideologia politica non coincideva sempre con l’attività che aveva accettato di svolgere essendo un conflitto fra i suoi ideali radicali e l’impegno di carattere atlantico. Per quanto mi concerneva, io non vivevo questo conflitto non essendo di idee ordinoviste.
(Dichiarazioni di Carlo Digilio. Lui e Soffiati presero parte alla strage di Brescia, il primo preparò l’esplosivo, il secondo lo trasportò a Brescia. Ed erano entrambi agenti collaboratori della CIA).
Un bel dilemma
Siamo cresciuti con questo dilemma: chi fa le stragi sono gli uomini dei Servizi Segreti infiltrati nella destra o gli esponenti della destra infiltrati nei Servizi?
(Dichiarazione di Giusva Fioravanti).
La Venerabile moneta
(…) ci fu un secondo incontro a Villa Wanda da Gelli. A questo secondo incontro io vidi arrivare un Maggiore dei Carabinieri in divisa ed è perciò che lo indico come Maggiore (…) Gelli gli chiedeva di controllare i ragazzi che gli sembravano abbastanza irruenti. A Gelli e penso anche a Birindelli (deputato del MSI) fu detto chiaramente che eravamo un gruppo che si armava e che era pronto alla lotta armata nel caso di una vittoria delle sinistre al referendum. Su insistenza del G.I. escludo che a Gelli sia stato fatto un discorso con riferimento specifico o ad attentati individuati oppure al procacciamento di queste armi o di questo esplosivo. Gelli sapeva che eravamo pronti per la lotta armata e che gli chiedevamo finanziamenti ma non gli fu detto nulla né di singoli attentati né di singoli armamenti.
(Dichiarazioni di Andrea Brogi sui finanziamenti ricevuti dalla P2. Il Maggiore in divisa sarebbe stato l’ufficiale golpista Salvatore Pecorella).
Generali sull’orlo di una crisi di nervi
Durante un drammatico confronto in istruttoria con il gen. Mingarelli che lo accusava di aver indirizzato le indagini sulla “pista rossa”, il col. Santoro affermava: “Io non ho indirizzato proprio nulla, mi pare che il gen. Mingarelli si contraddica, chi lo ha indirizzato sulla pista rossa? Io ho la velina del gen. Palumbo? Non si dimentichi che il gen. Palumbo era iscritto alla P2, sarebbe ora di parlare dell’altra velina che bloccò l’indagine a destra”.
(Commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi. I militari dell’Arma depistarono le indagini sull’attentato di Peteano – nel quale erano morti tre Carabinieri – indirizzando le accuse su persone innocenti per coprire gli ordinovisti responsabili. Tre degli ufficiali coinvolti, fra cui Mingarelli, sono stati condannati con sentenza definitiva nel 1992).
Che fregatura
Effettivamente ho avuto una lunga amicizia con un maresciallo del centro Cs di Bologna, tale Murone Antonio. Ho frequentemente fornito notizie a questo maresciallo e talvolta è venuto a casa mia a chiedermi delucidazioni, soprattutto le sigle delle diverse organizzazioni. Il maresciallo Murone veniva circa una volta all’anno a casa mia per riepilogare la situazione delle diverse organizzazioni. Io mi sentivo confortato dalla sua amicizia che certamente mi ha dato sicurezza. Credevo di avere un’“assicurazione” invece nel 1976 venni arrestato per un traffico d’armi con dei croati.
(Dichiarazione dell’ordinovista Francesco Donini).
Vatti a fidare della Polizia
Silvio Ferrari, per quanto dettomi dal Maggi, aveva casualmente incontrato a Verona, quattro persone che lui conosceva (…). Questi quattro erano Maggi, il suo omologo di Milano, Soffiati ed uno dei due ufficiali italiani. Successivamente Silvio Ferrari commise l’errore di confidare quanto aveva visto, le quattro persone insieme, ad un appartenente le forze di Polizia. Nel fare tale confidenza dimostrò di avere dato importanza a quanto aveva visto, ed il suo interlocutore, a sua volta, riferì la confidenza all’ufficiale che era stato visto da Ferrari. (…) l’unica soluzione possibile era quella di eliminare fisicamente Silvio Ferrari.
(Dichiarazioni di Maurizio Tramonte. Silvio Ferrari fu appunto ucciso prima della strage di Brescia).
Tutti insieme appassionatamente
Come in altre città, per la notte del 7 dicembre (1970) era concordato il concentramento in punti determinati. Il concentramento effettivamente ci fu, ma poco dopo giunse il contrordine, con vivo disappunto di tutti i presenti. Erano presenti sia militari che civili come del resto credo in altre città d’Italia.
Posso precisare che a Venezia il punto di concentramento era l’Arsenale cioè lo spiazzo dinanzi al Comando della Marina Militare. Anche di queste iniziative io riferii regolarmente a Verona (al comando F.T.A.S.E.) che quindi misi al corrente dei vari sviluppi.
(Dichiarazioni Carlo Digilio sul Golpe Borghese).
Basta che non si sappia in giro
Il capo servizio mi mandò dall’onorevole Almirante, a casa sua ai Parioli, ed io gli riferii, più o meno, non il contenuto dell’appunto ma più o meno la… il sospetto che un deputato del partito fosse in contatto con elementi eversori terroristi.
(Dichiarazioni del Generale Gianadelio Maletti che allertò Almirante sulla partecipazione di Rauti a riunioni preparatorie della strage di Brescia. E ovviamente nessuno si adoperò per impedire nulla).
L’amico degli “amici”
Santovito (capo del SISMI) l’ho conosciuto a Palermo durante una serata mondana, ospiti entrambi di alcuni amici. Erano presenti alti funzionari dello Stato (…). Da quella sera il mio rapporto con Santovito si è consolidato, ci siamo visti più volte al Castello. Qualche volta l’ho anche invitato io e subito dopo la sua promozione ci siamo frequentati a Roma durante la mia latitanza.
(Dichiarazioni del boss mafioso Francesco Di Carlo sul generale Giuseppe Santovito, piduista, capo del Servizio Segreto militare).
Il delitto perfetto
Ricordo ancora che l’Orlando parlò della morte del Generale Ciglieri già comandante dell’Arma dei Carabinieri e che l’addebitava al Capitano Labruna. Secondo l’Orlando, infatti, il Labruna aveva compiuto un primo tentativo di uccidere il Generale mentre transitava sulla strada fra Padova e Mestre. Tale tentativo andò a vuoto e da allora il Labruna ritentò, stavolta con esito positivo, facendo in modo che la vettura del Generale uscisse di strada perché speronata da un altro mezzo mentre transitava nei pressi di Bassano.
(Dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra. Riguardo all’incidente cui fu vittima Ciglieri non furono disposte perizie e dall’auto sparì la borsa dei documenti del Generale, fotografata dalla stampa).
Il reo confesso
Il Capitano Delfino mi promise, in caso di collaborazione con loro, dieci milioni di premio, io risposi non so niente e cosa devo collaborare? E lui mi diceva se collabori ti danno la libertà provvisoria. Io ho reso tre o quattro interrogatori così. In carcere gli inquirenti mi interrogavano per quattordici, quindici ore al giorno e a tutte le ore di notte. (…) La verità è quella esposta nel corso del dibattimento di primo grado sono solo una vittima, sono stato una vittima di persone senza scrupoli che hanno condotto l’istruttoria, cioè il dottor Trovato, il dottor Vino e il capitano Delfino.
(Dichiarazioni Angelino Papa, che fu imputato per la strage di Brescia nella prima istruttoria).
Quella volta che a Gelli disse male
Gelli: Ci sono ufficiali o marescialli, mi dica?
Segretaria: I secondi.
Gelli: Ho capito, non sono di Arezzo?
Segretaria: No.
Gelli: Ho capito. Senta, allora bisogna vedere cosa c’è scritto nel mandato (…).
(Intercettazione della telefonata di Gelli durante la perquisizione della Guardia di Finanza alla Gio.Le. nel 1981, compiuta non da Generali e né da Marescialli di Arezzo).