Riflessioni sul referendum in Catalogna

Alla fine il referendum sull’indipendenza della Catalogna, se pur con modalità discutibili, si è svolto. Madrid aveva detto che non si sarebbe tenuto e Rajoy continua ad affermare che non è successo nulla; nonostante questo, la situazione è sotto gli occhi di tutti: lo strappo tra Barcellona e Madrid sarà difficilmente sanabile. Il dibattito sul tema è in parte caratterizzato dallo snobismo e dalla tendenza a liquidare il tutto con poche frasi ad effetto; veri e propri mantra che si sentono ripetere da ore, ma che non aiutano a comprendere la situazione.
“Il referendum è incostituzionale e illegale”
“La Costituzione si basa sulla indissolubile unità della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli, e riconosce e garantisce il diritto alla autonomia delle nazionalità e regioni che la compongono e la solidarietà fra tutte le medesime”. Il testo dell’articolo II della costituzione spagnola è chiaro: la Spagna è indissolubile; di conseguenza, ogni referendum che ne preveda il frazionamento è incostituzionale.
Il 20 settembre questo è stato sancito all’unanimità dalla Corte costituzionale spagnola; ragion per cui il referendum, svoltosi in opposizione al parere della Corte, è illegale. Accertato questo, occorre porsi alcune domande. Quante costituzioni garantiscono la divisibilità dello Stato che tutelano? È possibile liquidare ogni istanza indipendentista facendo appello a uno Stato di diritto che i separatisti non riconoscono più? Numerosi Stati, Italia compresa, hanno ottenuto l’indipendenza attraverso atti illegali e, a differenza di quelli catalani, violenti.
La carta geografica non è qualcosa di immutabile, deve essere osservata con una consapevolezza storica e critica. Se in futuro la maggioranza dei Baschi, che sono un popolo almeno dalla fondazione del regno di Navarra (824 d.c.) e parlano una lingua estranea al ceppo indoeuropeo, dovesse schierarsi a favore dell’indipendenza, saremmo davvero così stupidi da liquidare il tutto con il termine “illegale”? Ma soprattutto, come farebbero i Baschi, non potendo votare, a dimostrare di essere in maggioranza favorevoli alla separazione? Occorrerebbe un atto illegale; e tra gli atti illegali, gli unici non violenti sono le manifestazioni pacifiche e il voto.
“I Catalani hanno votato la Costituzione del 1978”
Anche questo assunto è di per sé vero; occorrerebbe tuttavia contestualizzare l’affermazione. Quella del popolo catalano è una storia millenaria: Contea di Barcellona (801), Corona di Aragona (1162), unione dinastica con la Castiglia (1479) e mantenimento della propria lingua e autonomia fino ai Decreti di Nueva Planta del 1707-1716, figli della politica centralista della nuova dinastia regnante, i Borbone, originari della Francia. Il sentimento nazionale catalano riaffiora comunque a più riprese, dall’assedio di Barcellona (1713-14) alla guerra civile (1936-39).
Catalogna e Paesi Baschi furono le aree più duramente colpite dalla repressione di Franco. Durante la dittatura (1939-1975) l’omologazione forzata delle autonomie locali, che erano sopravvissute a 200 anni di centralismo borbonico, fu portata alle estreme conseguenze. Dopo la morte di Franco, ebbe inizio il processo di formazione della monarchia costituzionale. La costituzione del 1978, che segnava il ritorno della democrazia in Spagna e offriva importanti garanzie alle autonomie locali, non poteva non essere votata dai Catalani. Si trattava di un’enorme passo avanti dopo i decenni di dittatura fascista.
Non a caso, l’indipendentismo catalano è rimasto sopito per oltre trent’anni. Un colpo definitivo gli era stato inferto dallo Statuto di Autonomia del 2006, promosso dall’allora premier Zapatero. Tale Statuto, a cui il Partito Popolare di Rajoy si oppose fin dall’inizio, non ebbe vita lunga; alcuni suoi articoli, ritenuti fondamentali, furono aboliti dal Tribunale costituzionale nel 2010. L’indipendentismo catalano si risveglia in quell’occasione e viene rafforzato negli anni successivi dagli effetti dalla crisi economica e dal crescente scontro istituzionale con il nuovo premier Rajoy, incapace di proporre una soluzione politica della questione.
È vero, i Catalani hanno votato la Costituzione del 1978. Tuttavia, dopo trent’anni di dittatura, quel testo rappresentava per loro una sorta di riscatto; per la prima volta dal 1716, con l’eccezione della breve parentesi repubblicana degli anni ’30, ottenevano un riconoscimento. Nell’attuale movimento indipendentista il fattore economico e utilitaristico svolge senza dubbio un ruolo fondamentale. Non bisogna per questo incorrere nell’errore di assimilare la Catalogna alla Padania; le cause scatenanti della “rivolta” sono parzialmente simili, ma in questo caso hanno alimentato un sentimento nazionale preesistente e latente, non creato a tavolino.
“Una sceneggiata voluta da una minoranza”
Il valore legale di un simile referendum è nullo, per colpe imputabili tanto al governo catalano quanto a quello spagnolo. Aldilà dell’incostituzionalità, sono mancate alcune garanzie fondamentali, prima tra tutte la presenza di un’opposizione. Non si è visto un fronte del no organizzato, né in campagna elettorale, né ai seggi. L’organismo promotore, il governo catalano, era chiaramente di parte e, qualora ci fossero state manomissioni nei risultati o nel conteggio, queste sarebbero difficilmente verificabili. Inoltre, la decisione di non porre un quorum, ha reso l’esito ancor più scontato.
L’opposizione del governo spagnolo, la repressione della polizia e la paura della popolazione hanno fatto il resto. Anche se Puigdemont non avesse monopolizzato la campagna referendaria, il tentativo di sabotare la consultazione da parte del governo spagnolo avrebbe comunque compromesso il regolare svolgimento del voto. Molti seggi sono stati bloccati, numerose urne sequestrate e una parte consistente di cittadini non ha votato; alcuni, senza dubbio, perché contrari, altri per paura della repressione o perché è stato loro impedito. Nonostante questo, l’affluenza è stata notevole e il segnale lanciato a Madrid chiaro.
Parlare di sceneggiata di fronte alla partecipazione, alla passione e alla violenza viste ieri è limitativo e offensivo; allo stesso tempo, stabilire dai dati del referendum se la maggioranza dei Catalani sia favorevole o meno all’indipendenza è difficile. Il governo locale insiste sui 2,2 milioni di votanti (42% ca. dell’elettorato) e sui 700.000 che non sono riusciti a esprimersi, i quali permetterebbero di raggiungere il quorum simbolico del 50%. Rajoy continua a liquidare il tutto come se si trattasse di un carnevale, non comprendendo che proprio il suo atteggiamento sta rafforzando l’indipendentismo e conducendo la Spagna verso un vicolo cieco.