Depero: produttore di genialità e bellezza

Il faut etre absolument moderne è la frase che meglio caratterizza la formazione delle avanguardie artistiche del Novecento. Espressionismo, Dada, Surrealismo, Cubismo, Astrattismo e Futurismo altro non furono che nuove tendenze in campo figurativo, createsi dal rifiuto e dalla critica del contesto socio-politico in cui si inserivano. Nel territorio italiano si assistette alla formazione di un’iconoclastia futurista nostrana in opposizione all’ottusità della cultura e dell’arte ufficiali. Non si trattò di un puro movimento artistico, né di una semplice premessa del fascismo. Fu piuttosto la formazione di un gruppo che credeva nelle capacità di comunicazione dell’arte, che fece affidamento alle sue tecniche visive e verbali, che sperava e credeva nella quasi-divinità-modernità.
Esempio eclatante, se non addirittura perfetto interprete della poetica “pubblicità come arte”, è il futurista Fortunato Depero che definì sé stesso come vero produttore di genialità. Visto come il più futurista tra i futuristi, è considerato tra i maggiori dispensatori di meraviglia: dimostrazione ne è il grande successo che ha avuto la mostra a lui dedicata questa primavera presso la Fondazione Magnani Rocca. Dinamico, poliedrico, brillante, l’artista trentino attraversò non certo silenziosamente tutti i campi figurativi del tempo, dando sempre prova della sua creatività.
A Rovereto nel 1919, finita la guerra, Depero diede vita a un suo grande sogno, quello di aprire una Casa d’arte futurista, specializzata nel settore della grafica pubblicitaria, dell’arredo e delle arti applicate e, in particolare, in quello degli arazzi. Dal 1921 la casa d’arte, grazie all’apporto della moglie Rosetta Amadori e di alcune lavoranti, lavorò a pieno ritmo, creando una importante produzione artistica differenziata.
Il pittore, scultore e designer trentino assistette al vero sviluppo della sua carriera attorno agli anni ’20. Nel 1925 partecipò con Balla e Prampolini, in una sala dedicata al Futurismo, all’Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne di Parigi. Quest’esposizione è assai importante per Depero, perché gli diede l’opportunità di conoscere molti esponenti che gli faranno tentare la carta americana. Nel 1926 era presente alla Biennale di Venezia dove espose il dipinto “Squisito al selz” dedicato al commendator Campari.
Un dato costante dei padiglioni disegnati da Depero è il ruolo prevaricante dell’immagine pubblicitaria sull’organizzazione degli spazi interni. Il suo programma può essere visto come la formazione di un’architettura, fondata sull’identificazione della forma del padiglione espositivo con quella dell’oggetto esposto. Una traduzione concreta si ebbe con la realizzazione nella Bottega del Libro per le case editrici “Bestetti e Tuminelli” e per “Treves” alla III Biennale di Monza del 1927. Il complesso architettonico era ispirato ai caratteri tipografici, le gigantesche lettere formavano le facciate e il blocco del tetto; anche gli arredi e le strutture interne erano ispirate all’alfabeto. Marinetti descrisse l’intero spazio come un’architettura tipografica. Si va quindi a delineare quel tipo di costruzioni nelle quali l’elemento tipografico svolge una funzione essenziale di integrazione dell’immagine architettonica, e di cui l’artista trentino fu pioniere.
Quello di Depero era un lavoro artistico che, oltre all’estro, richiedeva tempo, sapienza, organizzazione. E, abbinando lo spirito di sacrificio alla volontà un po’ folle di andare oltre il limite, generava regole nuove in continuo mutamento. Il gusto e la moda sono la negazione dell’avanguardia, sono proprio ciò contro cui l’avanguardia è insorta. L’artista infatti non si lasciò trasportare dalle voghe del momento, ma utilizzò sempre il genio creativo posseduto per esprimere al meglio il messaggio richiestogli, senza mai rinnegare il proprio credo artistico. Fu un concreto costruttore di idee, produttore di genialità e bellezza, diventando promotore di quel campo in cui la pubblicità iniziava a muovere i primi passi. Con toni avanguardisticamente superlativi, fece un’operazione di “auto-réclame” definendo la propria attività come la più futurista, «audacissima», «modernista». Egli visse una concezione totale dell’arte, scegliendo e realizzando un’espressività che permettesse di far vivere il suo autentico io sempre a contatto con le persone.