Pittura Analitica: la superstite degli anni settanta

Dopo quasi mezzo secolo dalla sua nascita, la Pittura Analitica continua a sopravvivere e ad attirare il mercato dell’arte, nonostante sia passata per qualche decennio nel tunnel nero dell’oblio. Negli ultimi anni è tornata alla luce grazie alla rivalutazione intelligente di alcune importanti gallerie che tramite collezionisti “illuminati” ne hanno compreso il profondo significato. Tra le braccia di questa corrente rigenerata non si trova un vero e proprio gruppo, poiché vi presero parte quelli che Giorgio Griffa definì cani sciolti sottolineando perfettamente in questo modo che ogni artista che la attraversò, o che decise di camminare passo passo con lei per qualche tempo, scelse di prendere infine una strada personale ben delineata e differenziata.
Nata dalla crisi dell’Informale e come reazione al freddo Minimalismo, sul suolo italiano la Pittura Analitica chiama a sé all’inizio degli anni Settanta tantissimi artisti che parteciparono alle mostre collettive senza mai sentirsi parte di una vera e propria corrente. In linea di massima i più presenti furono Claudio Verna, Giorgio Griffa, Carmengloria Morales, Gianfranco Zappettini, Riccardo Guarneri, Paolo Cotani, Claudio Olivieri, Marco Gastini, Pino Pinelli. La mancanza però di un vero e proprio manifesto -e di un teorico vate- non fa altro che alimentare e segnare sempre più profondamente le differenze tra gli operati artistici dei vari autori, che continuano a sopravvivere.

Claudio Verna, Segno d’Aria, 1988
Ma nonostante questo vuoto di unificazione che rappresenta sicuramente l’unica vera debolezza del gruppo non compatto, esistono delle caratteristiche identificative che sono ben visibili negli elementi primi della pittura, quali il segno, il colore, la tela, il telaio, il pennello e i materiali a loro collegabili. Non viene rinnegata la pittura, come per esempio successe con l‘Arte povera, bensì la si vuole rifondare a partire proprio dagli elementi minimi, rendendola limpida e priva di ogni componente emotiva ed emozionale. In questo modo verrebbe così intesa come lavoro puro e semplice, permettendo di procedere con l’analisi delle sue strutture.

Gianfranco Zappettini, La trama e l’ordito, 2008
Cercando dei modelli nel panorama artistico precedente, è necessario volgere lo sguardo verso Malevič e Mondrian, con l’invenzione del monocromo negli anni Dieci del secolo scorso (Quadrato Bianco, Quadrato Nero, Quadrato Giallo) ed il rigore geometrico nella poetica e nell’esecuzione pratica, limitata alle linee rette ortogonali e ai colori fondamentali. Si possono riconoscere anche due grandi “scuole” cui hanno potuto attingere: una che vede Fontana prima e i suoi allievi diretti poi, con il monocromo e con il taglio come ricerca della profondità al di là della superficie. L’altra invece si trova oltreoceano e raccoglie quegli artisti che decisero di non assecondare le volgarità della pop art, come Morris Louis e Robert Ryman.
Si può parlare di arte tautologica, arte assoluta, estremamente libera, cioè priva di ogni impegno sociale, politico o biografico. Indica sé stessa come indagine dell’oggetto e per questo fu la causa della sua scomparsa dal grande schermo del mercato dell’arte ma oggi potrebbe esserne la forza, in un mondo molto diverso. Perché infatti apprezzarla adesso? Perché l’attività artigianale organizzata, ricca di eccellenza e conoscenza, lenta e ben misurata è ciò che può salvare l’umanità dalla dematerializzazione. Tornare alle origini e ricordare l’uomo come homo faber, permette alla Pittura Analitica di adagiarsi in questo momento storico con tutta la grazia e la delicatezza che caratterizza la ricerca del suo linguaggio.
Christine Macel, direttrice della Biennale di Venezia 2017, ha invitato due degli artisti sopracitati ad esporre negli spazi della Laguna a dimostrazione della nuova ondata di interesse per questo spaccato di storia dell’arte italiana. Riccardo Guarneri e Giorgio Griffa si trovano quindi a realizzare nuove opere in nome delle qualità specifiche visibili nel loro uso del colore. In Griffa si nota il rapporto intenso tra colore, ritmo e ricerca spirituale, a metà tra filosofia e scienza. Guarneri, meno noto del collega, realizza nelle sue opere una sorta di trasparenza, che crea un gioco di colore-luce totalmente dipendente dallo spazio espositivo che viene di volta in volta scelto.

Giorgio Griffa, Canone aureo 753
Ma perché questo ritorno in grande stile per un tipo di arte che sembrava non avere più speranze di successo? Perché la pittura analitica richiama l’attenzione dell’osservatore verso un universo che tra gli anni ottanta e i primi duemila era stato messo da parte, sull’onda dell’entusiasmo per le performance e le installazioni site-specific. Tornare all’origine, ricordare da dove sia partito tutto e cercare la vera essenza delle cose è ciò di cui si ha bisogno quando l’orizzonte si riempe di significati troppo nascosti o virtuosismi eccessivi che distraggono lo sguardo attento del visitatore. Il ritorno della materia nuda e cruda è un richiamo alla semplicità dell’esistenza umana, alla presenza di un corpo limpido e puro al di sotto di tutte le sovrastrutture mentali e sociali.
Se si ha quindi l’intenzione di tirare le fila di questo movimento-non-movimento, si può immaginare la tela come un campo di forze dove la loro azione riguarda la pratica di procedure pittoriche elementari. Si evidenzia la dimensione temporale del dipingere e la definizione concreta dello spazio nel quadro, sviluppando così un modo di fare pittura consapevole, colto ma non concettuale. Questi dipinti non sono freddamente geometrici, ma caratterizzati da una sensibilità lirica impersonale e da un senso di sospensione che lascia sullo sfondo la tensione analitica.