Potëmkin chi? Cosa?

Potëmkin.
Un cognome da brainstorming.
Per i più noiosi, il collegamento con il politico russo colonizzatore delle terre ucraine è evidente e scontato; per alcuni ricorda il nome della famosa scalinata situata a Odessa, progettata dall’ architetto Francesco Boffo ; per altri invece salta subito in testa un giovane tragicomico Fantozzi, un noioso cineforum aziendale e lo storpio Kotiomkin. E da qui si fa facile strada il collegamento con l’omonima corazzata del 1905 contro il regime zarista e il conseguenziale film propaganda prodotto in Russia nel 1925. Ed ancora, se accostato alla parola villages si può scoprire un’interessante storia che viene dal passato.
Esiste una leggenda sui cosiddetti Potëmkin Villages: villaggi creati dal principe omonimo Grigorij Aleksandrovič per impressionare Caterina II di Russia durante un viaggio in Crimea alla fine del 1700. La particolarità sta nella notizia che la leggenda narra che i villaggi fossero invece fittizi, fatti di cartapesta, con tanto di finti pastori e diversi mercantili da navi militari dipinte presentandoli come la flotta di Sebastopoli, il tutto per mascherare il degrado del paese e poter così ottenere denaro dall’imperatrice di Russia. Da questa leggenda narrata in un phamphlet dell’ambasciatore Helbig, è rimasta di uso comune l’espressione “villaggi Potëmkin” quando si vuole cercare dell’ottimismo in una situazione convincendo(ci) che una situazione sia migliore di quella reale.
Partendo da questa che parrebbe essere solo una leggenda, l’austriaco Gregor Sailer ha fotografato vari esempi di luoghi “artificiali” partendo dalla stessa Russia, dove nel 2015 per una visita del presidente Putin a Suzdal alcuni edifici erano stati coperti con teli raffiguranti lussuosi palazzi per abbellire intere aree disabitate; il giovane originario di Schwaz ha continuato poi per la Svezia, la Germania, gli Stati Uniti e infine per tutto il mondo.
Da questo studio ne ha ricavato un libro : The Potemkin Village, edito da Kehrer che fa riflettere sul dualismo finzione-realtà sia in fotografia che nella vita stessa.
Da tutto questo flusso di co(no)scienze, la domanda sorge spontanea: che forse Fantozzi con la sua famosa frase volesse solo farci tornare con i piedi per terra?