Eternal sunshine of the spotless mind – La serie

Eternal sunshine of the spotless mind, il film culto firmato Gondry–Kaufman che nella patetica traduzione italiana è diventato Se mi lasci ti cancello, sta per essere trasformato in una serie TV. Se avete visto il film e ne siete rimasti affascinati (e se lo avete visto ci sono buone probabilità che la seconda eventualità sia più reale che ipotetica), è comprensibile che tratteniate il fiato. Le anticipazioni sul progetto sono esigue e farraginose. Quello che si lascia intendere è che l’unico membro dello staff a riprendere il proprio posto sarà Steve Golin, produttore del film originale, e che la serie sarà prodotta dalla Anonymous Content ( True Detective e Mr Robot) in collaborazione con la Universal Cable Production. Voci di corridoio riportano il coinvolgimento di Zev Borow (ideatore della serie Chuck), ancora in trattative per prendere in carico la sceneggiatura. Non ci è dato sapere se la serie riprenderà la vicenda dalla conclusione del film, se si tratterà di un riadattamento dell’intera storia in episodi abilmente centellinati tra momenti romantici e cliffhanger tattici, o se si parla addirittura di un prequel o di uno spin-off. A noi di speculare sulla natura di un progetto che punta altissimo già dall’annuncio della sua realizzazione, mettendosi a confronto con quello che è considerato dalla critica uno dei migliori film dello scorso decennio. La grande certezza dell’intera faccenda sembra essere dunque la totale estromissione di regista e sceneggiatore originali, rispettivamente Michel Gondry e Charlie Kaufman, ed è un dato di fatto che pesa come il piombo.
Che Hollywood abbia trovato la sua pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno nella serialità delle storie già proposte nel passato è ormai ben noto. La qualità delle serie è in continuo miglioramento, grazie anche al coinvolgimento in crescita di nomi importanti del cinema e del teatro, sia davanti che dietro la macchina da presa. Gli attori famosi sgomitano per accaparrarsi una parte in un telefilm, quasi che senza, il curriculum soffra di un incolmabile deficit. Una recente epidemia di stiracchiati sequel si è diffusa a macchia d’olio in tutta l’industria cinematografica e i sintomi vanno dal recupero di vecchie opere, al confezionamento sbrigativo di trame scontate con effetti speciali e 3D, e l’espansione delle storie tramite parentesi di narrazioni parallele che rimpastano vecchi cliché. Con la stessa modalità e per le stesse ragioni, l’avida mano delle grandi case produttrici si è protesa così sull’adattamento in serie di film di successo. Scream, Stargate, Terminator e Fargo sono solo pochi esempi, alcuni molto ben riusciti nell’adattamento in puntate, del nuovo fenomeno di riciclaggio del materiale obsoleto.
Ed eccoci arrivati a Eternal Sunshine of the spotless mind.
Eternal sunshine of the spotless mind è un film che oltre a vincere un Oscar alla miglior sceneggiatura e due BAFTA è stato amatissimo e poi addirittura proclamato culto dal grande pubblico perché si è dimostrato più che in grado di affrontare la tematica della fine di un amore senza scadere in banalità automatiche, in facili sentimentalismi, o in sentieri narrativi percorsi così tante volte da essere diventati ormai solchi nella cinematografia di genere. È merito del surrealismo di Gondry e del suo spostare sempre un po’ più in là l’asticella del bizzarro se forse questo film non è nemmeno inscrivibile in un genere. Gondry incanta l’occhio dello spettatore con fantasmagorie visive, dosando delicatezza poetica e scenari onirici, ma allo stesso tempo racconta il disincanto e le conseguenze dolorose della rottura sentimentale. Nel contrasto si crea la magia. C’è un’alta probabilità che parte di tale magia possa essere riprodotta in episodi, anche da un altro regista. Tuttavia il fattore fondamentale che sembra essere sfuggito all’Anonymous Content è quello che chiameremo “fattore k”: Kaufman.
Eternal Sunshine of the spotless mind, come ogni altro suo film, è Kaufman allo stato puro. Il tema dell’amore e la caleidoscopica inventiva di Gondry possono sviare e distrarre, ma ad un’analisi più attenta ci rendiamo conto che il vero protagonista, centro di gravità attorno cui si espande l’intero universo narrativo , altri non è che il suo stesso autore. Il film è imbevuto del fascino unico delle storie dello sceneggiatore americano, dall’ironia tagliente a un egocentrismo ossessivo e ipocondriaco, dalla buffonaggine come tecnica per raccontare il serio, ai pugni nello stomaco disseminati nel faceto, l’insicurezza e la vulnerabilità, l’etica dell’autentico nella creazione artistica, un ansioso gioco di specchi e di riflessi deformati nella ricerca della verità. Eternal Sunshine non è solo la storia di due fidanzati che si lasciano e poi cercano di farsi rimuovere i ricordi l’uno dell’altro dal cervello. È un’intenso tuffo nella psicologia tormentata dell’artista, ma l’artista, per Kaufman, è un modello universale a cui tutti gli spettatori possono fare riferimento e con cui possono identificarsi. Visto il successo del film, possiamo azzardare a dire che l’esperimento si dimostra azzeccato ed efficace. Una volta che ci ha indotti all’identificazione con l’artista, proiezione alternativa dello sceneggiatore che si sdoppia e si distanzia nel tentativo di rivalutare ancora una volta il dilemma maniacale della consapevolezza di sé, Kaufman può parlarci di quello che gli interessa veramente, ovvero l’opera, la scrittura.
La sabbia è sopravvalutata, sono solo sassi minuscoli, dice Joel, il protagonista del film, vignettista insicuro e malinconico nel bel mezzo di una crisi esistenziale. Lo dice mediante una voce fuori campo, tecnica che rimanda comunque a un distanziamento ulteriore tra sé stessi e la propria proiezione. Lo dice Joel, o lo dice Charlie? Il significato della vita, la propria missione artistica, il compromesso, il sacrificio e soprattutto il riconoscimento di giusto e sbagliato nelle scelte che compiamo sono al centro dell’ansia non solo di Joel, ma di tutti i protagonisti della filmografia di Kaufman, perchè sono tutti Kaufman stesso. Un tale solipsismo non poteva essere meglio espresso che in Essere John Malkovich, nella famosa scena del ristorante, dove tutti sono copie del suddetto attore e non c’è spazio per altra espressione linguistica che quella del proprio nome.
La sua identità autoriale è probabilmente l’unica nel panorama cinematografico internazionale a precedere quella del regista, e lo stesso Kaufman ha dichiarato di non poter scrivere una sceneggiatura senza la garanzia che poi verrà coinvolto nell’intera produzione del film. Questa necessità di partecipazione all’opera è talmente forte da averlo spinto a dirigere i suoi stessi film più recenti (Synecdoche New York e Anomalisa). Ma è anche un ingombrante e non sempre gradita clausola, tanto che è diventato sempre più difficile per lo sceneggiatore trovare ingaggi, o produttori disposti a finanziare i suoi progetti. “Perchè tutti hanno la possibilità di fare dei film alla Charlie Kaufman e io no? Ci penso continuamente”, ha dichiarato in una recente intervista. C’è una strana profetica ironia in questo perchè Eternal Sunshine e altri film del passato, nessuno meglio de Il ladro di Orchidee, sembravano già preconizzare una certa tendenza hollywoodiana ad essere interessata a un prodotto piacevole su larga scala, non troppo sofisticato, d’effetto senza troppi sforzi, e privo di troppi cervellotici eccentricismi. Kaufman non sembra rientrare nei requisiti e non ha nemmeno fama di essere incline a flessibilità e adattamento (non è un caso se il titolo originale de Il ladro di orchidee è Adaptation), e ovviamente il suo nome non viene nemmeno preso in considerazione nel progetto di serializzazione del suo film.
Eppure Kaufman si è affacciato al mondo delle serie, anzi, ha proprio fatto il grande salto, scrivendo una serie per la HBO, con Catherine Keener come protagonista, e la premessa di strutturare ogni episodio come una versione alternativa della vita di una donna che viene influenzata a seconda di vari eventi. Ha anche scritto per la FX un’altra serie intitolata How and Why, la storia di un uomo in grado di spiegare come funziona un reattore nucleare ma incapace di e del tutto disorientato nei confronti della vita. Se vi state chiedendo perchè non ne avete mai sentito parlare è perché le serie in questione non sono mai state realizzate. Troppi rischi, troppo budget e poca sicurezza di audience e di incasso. Gli appassionati della filmografia dello sceneggiatore obietteranno “Si, ma è Kaufman!”, solo che per loro una tale asserzione ha una chiara accezione positiva, mentre invece per l’industria. Stando alla versione dello sceneggiatore con “l’industria” si intende Netflix, Amazon, Hulu, AMC, e persino l’indipendentissima Sundance.
Si può plagiare e riprodurre lo stile di uno sceneggiatore scomodo, smussandone angoli e stravaganze? Lo si può fare con Kaufman? Nonostante il declino e la perdita del fulgore di cui godeva inizialmente nei circoli che contano, Kaufman è e rimane Lo Sceneggiatore, l’unico nome noto al grande pubblico di un’intera categoria, nascosta nell’ombra, obliata, fatta sparire subito dopo la consegna del soggetto di un film. Non possiamo prevedere il futuro, ma possiamo nutrire forti dubbi che si riesca a riprodurre ciò che rendeva il film così unico e suggestivo. A questo proposito ci pare opportuno rispolverare una scena del film, riportando le parole di Joel/Charlie, per la precisione il momento in cui questi si rende conto che Patrick, un altro uomo, sta usando i suoi ricordi, estirpati dalla sua memoria, per conquistare la sua ex-fidanzata.
“Sta rubando la mia identità! Ha rubato le mie cose. Sta conquistando la mia ragazza con le mie parole e le mie cose! Gli ha rubato la biancheria! Oddio santo! Gli ha rubato la biancheria!”
Forse l’industria cinematografica tenterà di fare la stessa cosa con l’opera di Kaufman. Ma l’operazione rischia di avere lo stesso successo che Patrick ha nel film.