Una piccola bellezza, per un pugno di dollari

La mirabolante storia di un cortometraggio indipendente
In un suo bellissimo film, Rashomon, Kurosawa si ispirò ad un racconto di un suo connazionale, Akutagawa, che rifletteva sull’egoismo e sulla malvagità della natura umana. Il regista scrisse però di suo pugno un finale diverso, che smorzava l’amarezza del primo, in cui il contadino e il monaco – che sotto la porta di Rashomon, in un giorno di pioggia, sono stati annichiliti dalla consapevolezza dal male – inaspettatamente vengono riscossi dal vagito di un neonato.
– Io ho sei figli, allevarne ancora uno non sarà una fatica molto maggiore per mia moglie.
– Perdonami, mi vergogno di quello che ho detto…
– E’ naturale, di questi tempi non si può avere fiducia negli uomini. Devi perdonarmi tu. Oggi io non riesco a capire me stesso.
– No, ora non più.
Tu mi hai restituito la fede e la speranza nella vita.
Ti ringrazio.
Uso il cinema per parlare di cinema (e non solo): se siete persuasi, come tanti, che viviamo in tempi di crisi nera, in cui la speranza di esordire nel cinema (e non solo) sia una fantasia paragonabile a quella dei bambini che a pancia in su nei prati, ombelico e indice puntati verso le stelle, sognano di diventare astronauti, mi auguro che la storia che sto per raccontarvi abbia su di voi lo stesso effetto che ha avuto su di me, lo stesso effetto che il trovatello neonato di Rashomon ha sugli adulti inaspriti dall’esperienza, che vi restituisca, cioè, fede e speranza.
Nessuno – se si fa una, eppur notevole, eccezione che scoprirete tra poco – dei protagonisti di questa vicenda è noto ai più; si tratta “solo” di ragazzi con una grande passione. Mi chiederete quindi (e me l’hanno chiesto anche loro) perché io stia raccontando la loro storia e, ancor più, perché mi aspetto che la si legga. Possiedo più risposte a questa domanda. Innanzitutto, come ogni storia che mi entusiasma, muoio dalla voglia di raccontarla. Ma, oltre a questo piccolo vizio personale, che spero mi perdoniate, c’è di più e di meglio: questo gruppo di ragazzi, che si conoscono da anni e che hanno cementato la loro amicizia intorno a tavole imbandite con pane e cinema, sono riusciti in una piccola impresa impossibile, dimostrando di quale strana stoffa a larghe trame permeabile ai sogni è intessuto il cinema e, talvolta, chi lo fa. E per piccola impresa impossibile intendo: scrivere una sceneggiatura, racimolare tutti i soldi possibili, convincere con uno stratagemma romantico uno dei migliori attori del cinema e del teatro italiani a mettere la sua faccia in prestito, girare un cortometraggio in una sola settimana di lavorazione e, infine, Apriti Sesamo, vedersi spalancare le porte del Festival del Cinema di Cannes. Fitzcarraldo che trasporta la nave oltre il monte. Una storia da film.
Il progetto nasce come una fantasia tra amici. Alessio Gonnella, che poi sarà alla regia del cortometraggio, ha scritto una sceneggiatura, costruita su un “nudo scheletro astratto”, su un’idea che ha della vita e degli uomini. La storia ha un accattivante sapore fantascientifico, dai risvolti grotteschi. Ma l’allegoria ci trasporta in una dimensione universale. Durante l’attacco alieno due ragazzi provano a raggiungere un presidio militare: è l’unico modo per stare al sicuro. Nel frattempo, il Presidente annuncia che l’umanità ha finalmente una speranza: sappiamo come combattere gli invasori, abbiamo trovato l’arma che può farlo. La domanda è… come può la tromba salvarci tutti?
Il sogno di Alessio è di vedere nel ruolo del Presidente – un ruolo bellissimo di un lucido pazzo – Roberto Herlitzka. Ricorderete il suo volto asciutto, scavato, così espressivo, dagli occhi ad un tempo malinconici e ironici, come quello di Aldo Moro in Buongiorno, notte di Bellocchio o forse come quello di Nonno Alberto in una puntata di Boris, oppure per averlo visto a teatro o, molto probabilmente, per il suo ruolo del Cardinale molto poco spirituale nella Grande bellezza di Sorrentino che, tra l’altro, ai tempi della nostra vicenda, era da poco uscito nelle sale.
Alessio deve avere una calligrafia degna di menzione o una passione davvero coinvolgente, visto che, dopo essersi procurato (e non chiedetemi come) l’indirizzo dell’abitazione di Herlitzka, conquista l’attore indirizzandogli una lettera a mano, cui allega una copia della sceneggiatura. Secondo Alessio, a fare la differenza è stata la cura delle tre pagine di foglio A4 attentamente manoscritte in stampatello minuscolo, in cui lui si presentava come regista esordiente e gli illustrava il suo progetto. Herlitzka stesso gli risponde poco dopo con una lettera scritta a mano in cui accetta la parte. Come amici d’altri tempi, Alessio e Roberto non si sentiranno mai per telefono prima dell’inizio delle riprese, ma si comunicheranno solo attraverso lettere redatte di loro pugno.
Una volta assicuratasi la partecipazione dell’attore e raccolta la troupe (Alessio: “In cinque l’abbiamo girato, come dei folli”) – Simone Vacca alla Produzione e al Montaggio, nonché in un piccolo ruolo nel corto stesso, Thomas Tozzi alla Fotografia, Luca Petrecca al Suono, Perla Ceska a Costumi e Trucco (anche nella finzione del film) – e il cast – che, tra gli altri, vede anche il Globo d’oro al miglior attore rivelazione 2011 Mohamed Zouaoui – tutto è pronto.
Il primo ciak è a Roma ed è proprio il monologo del Presidente. Sono tutti nervosissimi: la scena non presenta particolari difficoltà, ma nessuno ha mai lavorato con attori del calibro di Herlitzka. E poi si gira nel bellissimo museo Praz; Herlitzka recita tra una scrivania d’epoca napoleonica e il ritratto di Ugo Foscolo. I ragazzi hanno firmato un contratto in cui si impegnano a pagare qualsiasi forma di danno e tutti guardano Luca, con la sua asta del microfono, con una certa apprensione. Alessio, ricordando il momento in cui per la prima volta incontra Herlitzka, e cioè quando, con Perla, si reca a prendere l’attore per accompagnarlo sul set, racconta: «Mi ha dato la mano, mi ha baciato sulla guancia, si è messo di fianco a me e abbiamo parlato di tutt’altro. Quando ha scoperto che ero il regista e non l’autista, l’ho visto un po’ sorpreso. Quando poi gli ho detto che ero – sempre io – l’autore della sceneggiatura, decisamente colpito, mi ha studiato bene la faccia. Sono sicuro che deve aver pensato: “Ma questo non ha neanche la barba”. Probabilmente in quel momento deve aver creduto di essersi imbarcato in un’avventura di ingenui o di pazzi. Per fortuna sul set, quando ci ha visto al lavoro, ha cambiato idea».
Quando ho chiesto, incuriosita, come fosse Herlitzka, Simone mi ha risposto che non si nota la differenza tra quando è davanti a una telecamera e quando si ordina un panino al bar. In lui non distingui l’arte e la vita. Tutto in lui recita, persino le rughe, e con una infinita gamma di espressioni e sfumature. Mi hanno raccontato di come l’incanto di una simile naturalezza avesse conquistato tutti, tanto che, dopo il primo ciak, Thomas, preso dalla bellezza del momento, decide di lasciare che la telecamera continui a riprendere nonostante lo stop. La registrazione ha immortalato così il religioso silenzio della troupe seguito alla prima prova dell’attore (“Non avevamo mai visto una cosa così bella, nessuno di noi. Non avevamo mai visto recitare una persona così, davanti a noi”) durato lunghi secondi e interrotto timidamente da Alessio, che si vede costretto dal suo ruolo a dire qualcosa (“Mmh… no, si, è buona”).
Nelle grandi produzioni c’è una grande perdita di umanità – il regista non comunica con gli attori e persino i diversi reparti si coordinano grazie agli assistenti che recapitano messaggi. In questa piccola bellezza autoprodotta l’umanità è al centro di tutto, della storia e dell’esperienza, della finzione e della vita.
Alessio si dice sicuro che sia possibile fare del cinema indipendente. Oggi più che mai, perché nei momenti di crisi viene fuori il meglio degli esseri umani, la loro inventiva. Dice che i molti che lamentano l’impossibilità di fare cinema indipendente sono gli stessi per cui questo non è altro che una formula, una marca, un’etichetta vuota, che il cinema oggi si fa per i critici o per il popolo e, troppo spesso, non si fa per un’idea. Il cinema, soprattutto in Italia, è fatto da tecnici che lavorano per un tipo di cinema ben codificato (e l’indipendente non fa eccezione) e per questo non si realizzano più i capolavori che invece era possibile fare quando il cinema aveva una dimensione artigianale, da cui provenivano tutti i grandi registi.
La sua idea di cinema è che tornino gli esseri umani a fare cinema, quelli che lo vogliono fare davvero, che hanno qualcosa da dire e che, come in ogni mestiere, si dedichino ad apprenderne l’arte. “Perché i risultati si vedono”, commenta. E deve avere ragione lui, perché i risultati, almeno nel loro caso, si sono visti davvero: il cortometraggio, Attacco alieno dall’interspazio, è stato infatti selezionato al Festival di Cannes, nella sezione “Short Film Corner”, dove dovrà affrontare la temibile concorrenza internazionale, nella speranza che sia comprato e distribuito.
Noi gli auguriamo tanta buona fortuna.
Di seguito, il video del backstage: