L’insolito ordinario: Reggie McNamara e l’eroe distrutto

Ognuno ha i suoi eroi.
Spesso a questa domanda diamo risposte banali e speranzose, soprattutto se siamo 1,2 metri di altezza e ogni mattina ci mettiamo ancora il grembiule:
Superman!
Il presidente degli Stati Uniti!
Mago Merlino!
Michael Jordan!
Ian Solo!
Miss Italia!
Poi con il passare degli anni, i nostri canoni cambiano, e con loro cambiano anche i nostri desideri e le nostre risposte.
Crescendo muore un po’ di magia, ci rendiamo conto che non possiamo più credere in eroi che si mettono le mutande sopra i vestiti, preferendo quindi personalità più tangibili e con i piedi per terra.
Ci sono eroi che sono immagini da imitare: il padre di famiglia che rispetta la moglie e ama i figli, il pompiere che salva vite tutti i giorni, il commerciante che decide di non pagare il pizzo.
Sono eroi silenziosi, che amano l’ombra.
Perché spesso il vero eroe è semplicemente chi non si arrende.
Non tanto colui che è capace di rialzarsi fiero, ma chi è capace di essere paziente davanti alla continua sofferenza, non mostrando disperazione.
Ci sono poi gli eroi inarrivabili, personalità talmente tanto lontane da noi, dal nostro modo di vivere che ai nostri occhi risultano essere eroi senza macchia che ce l’hanno fatta, che hanno tutto ciò che noi non siamo riusciti ad ottenere.
Per alcuni può essere Hugh Hefner, per altri uno sportivo che ha dedicato la sua vita alla propria passione.
Come Reggie McNamara, che la sua vita l’ha decisamente donata allo sport.
Conosciuto anche come il ciclista australiano con più vite di un gatto, Reggie (1887 – 1970) imparò ad andare in bicicletta utilizzandone una a turno con i suoi 14 fratelli ma ciò non gli impedì di partecipare fin da piccolo a delle gare locali.
Fattosi notare fin da subito da Alf Goullet, divenne bene presto una star del ciclismo.
Divenne poi famoso anche per gli innumerevoli incidenti ed ossa rotte durante le gare, nel particolare è rimasta celebre la corsa in cui egli cadde addirittura 20 volte.
E perché non continuare a pedalare, durante una six-days, anche dopo una gravosa caduta che gli aveva procurato una ferita di 30 centimetri lungo un fianco e 12 punti di sutura senza anestesia?
Touchè! Reggie arrivò pure secondo alla gloriosa gara.
Conosciuto per le innumerevoli cadute, riusciva sempre a stupire il pubblico appassionato.
Nel 1913 sposò un’infermiera che lo aveva curato dopo essersi rotto una gamba. Ebbero due figlie: Eileen e Regina.
Reggie si distinse vincendo “The [Madison Square] Garden’s six-days” che si tenne nel dicembre del 1926 ma non prima di un gravoso incidente insieme al suo compagno di avventure, Pietro Linari, di aver rischiato l’ipotermia e di essersi incrinato tre costole.
Vinse sette Six-Days a New York tra il 1918 e il 1932, altre cinque a Chicago a altre in Francia, Belgio, Svizzera, Germania e Inghilterra.
Continuava a cadere e a rialzarsi imperterrito, sempre con il sorriso.
Considerando che faceva circa 1250 miglia in sei giorni, si può dedurre che nella sua carriera fece circa 135 mila miglia di corsa, più che sufficienti per fare cinque volte il giro di tutto il mondo. Vinse più di 700 gare in 30 anni di attività.
Come riportava un quotidiano americano, fino al 1946 aveva riportato 17 fratture alla clavicola, alla testa, al naso e ad entrambe le gambe, 5 commozioni cerebrali e 500 punti di sutura per 47 cicatrici totali.
La cicatrice lungo la guancia destra era divenuta addirittura il suo tratto distintivo: secondo lui gli dava un’aria meno amichevole, più pericolosa che faceva risaltare indossando spesso maglioni neri, imbronciando un po’ il viso e accigliando le espressioni.
Quando un giornalista gli chiese se si fosse fatto la riga sui capelli per imitare la star del cinema Rodolfo Valentino lui gli rispose:
“That’s just so the sawbones has a centre point to start from!”.
Casualità che Reggie fu soprannominato dalla stampa Iron Man?
Un eroe per grandi e piccini!
Le immagini di copertina sono realizzate da Giulia Migliori.