Tutti amano Murakami

Fossimo giovani letterati americani, studenti della Columbia University, New York, in un periodo che va dal 1960 al 1968, avremmo sicuramente sentito tanti discorsi. Rivoluzione, bandiere rosse, bandiere nere, pacifismo, anarchismo e via discorrendo. Fossimo giovani universitari della Columbia questi discorsi li avremmo sentiti in particolare da Dwight Macdonald, critico ed editore anarchico che molto spesso teneva lezioni e comizi nell’Università della sua città. Tra dibattiti politici e riflessioni sull’andamento delle cose, ci saremmo imbattuti in momenti in cui il Macdonald anarchico lasciava spazio allo studioso, e allora avremmo sentito parlare della sua intuizione più felice, racchiusa nel saggio Masscult and Midcult. Le riflessioni racchiuse nel volume andavano ad inserirsi nel discorso molto in voga al tempo sulla qualità dei prodotti culturali, ragionamento scaturito dall’esplosione e l’ascesa della middle class come punto di riferimento per la società americana, e occidentale in generale, e la conseguente predominanza dei suoi contenuti. Da che esiste la cultura e un suo pubblico di riferimento è presente una sua catalogazione, una discriminazione tra cultura alta e bassa, tra serio e faceto, popolare e intellettuale, basti pensare, ad esempio, alla Poetica di Aristotele e le sue parole su tragedia e commedia, poesia e filosofia. Per quanto innovativa nei termini e nelle declinazioni specifiche quindi, la nozione di masscult che il buon Dwight ci porta non è del tutto sconvolgente. Quello che invece colpì particolarmente fu l’altro termine di questo binomio, midcult. Una fascia intermedia, insinuatasi gradualmente nelle fila della cultura, fino a prepotentemente esplodere e ricondizionare il tutto.
Una zona a spettro largo, fortemente criticata dal suo teorizzatore per la sua natura ambigua, insidiosa come la sua classe sociale di riferimento. Una massa ristretta, piena di ambizioni, in cerca di affermazione, ha bisogno di eleggersi anche dal punto di vista culturale, pur non avendo gli strumenti, e non cercandoli, per entrare nel vero cuore del mondo intellettuale. Cultura insieme a denaro erano, e sono simbolo di potere, ed ecco allora il proliferare di questo fantomatico midcult che, citando Macdonald, “finge di rispettare i modelli dell’Alta Cultura mentre, in effetti, li annacqua e li volgarizza.” Qualcosa che simula l’alta cultura pur non essendolo, strumento di finzione utilizzato da una classe arrembante per legittimizzarsi e sentirsi più intelligente, per elevarsi da una massa caciarona, ignorante e votata esclusivamente all’entertainment. Una visione certamente aggressiva, estrema, forse anche un po’ complottista, ma di fatto giusta nella sua essenza più intima. Nella sua definizione più pacata e politicamente più distaccata, quella fascia identificata nel midcult esiste, ed ha veramente la più grande rilevanza nel panorama culturale. Dove Proust è letteratura “d’élite” e la saga dalle varie sfumature è prodotto di puro intrattenimento per la massa, ci sono quelle opere che stanno nel mezzo, esageratamente democratiche nella loro neutralità; opere per tutti i gusti e le esigenze, capaci di soddisfare sia una fruizione semplice, senza pretese, divertita e intrigata, sia volontà più alte, qualitativamente e tematicamente importanti. Un Eco, un Calvino, un Franzen, offrono tranquillamente due approcci di lettura, sono scorrevoli e intelligenti, profondi e divertenti, l’anello di congiunzione tra la spocchia elitaria e l’ignoranza disinteressata. Il punto di riferimento principale per quelli di mezzo, che non comprano e leggono un libro al giorno, né uno all’anno, e che andrebbe bene anche per questi due estremi.
Si, ma Murakami? Il buon Haruki entra pienamente nel discorso, andandosi probabilmente a posizionare come l’esemplare più perfetto a nostra disposizione. Tutti amano Murakami, o almeno avrebbero la possibilità di farlo. Da ovunque la si voglia guardare è lo scrittore che incarna in modo assoluto questo senso di vicinanza e intersezione tra gli strati culturali. Soddisfa la fame di Oriente dei nippo-fan occidentali, ricrea in letteratura atmosfere radical chic alla Miyazaki; mette in piedi storie d’amore accessibili, storie quotidiane e fantastiche comprensibili anche ai più giovani, incastonandole però in discorsi metaletterari, ragionamenti sulla scrittura validissimi, molto spesso studiati nelle Università. Incarna il fascino dell’esotismo caro all’intellettualismo, rappresenta in patria l’alternativa apparentemente più “seria” ai manga, richiede sforzi di comprensione ma allo stesso tempo ci fornisce una lettura piacevolissima anche se disimpegnata. È lui stesso, del resto, nelle sue opere a esteriorizzare questa natura multiforme; Murakami gioca tantissimo con i riferimenti, con le citazioni, con gli accenni, ad opere musicali, film, letteratura, non posizionandosi però né tra i postmoderni d’altri tempi e i loro labirintici rimandi autoreferenziali all’élite, né tra gli autori immersi nella contemporaneità, sempre pronti all’attacco dei miti commerciali di oggi. Murakami balla, tra pop ed élite, tra la Sinfonietta di Janáček e i Beatles, tra la Recherche e i romanzetti rosa, tra la postura intellettuale e la beatitudine dell’ignoranza. Un nome, una bella figura. Sì, perché è un nome spendibile ovunque, di quelli che vanno bene ad una festa in discoteca mentre abbordate qualcuno, così come in fila per entrare al Salone del Libro di Torino. Farete bella figura in un bar letterario, di quelli dove si leggono le poesie polacche in traduzione finlandese, ma anche in fumetteria tra un Naruto e un Dragon Ball. Un lasciapassare che non vi farà mai fare la figura degli stupidi illetterati, permettendovi nel frattempo di nascondere quella boria da studenti di lettere. Murakami è l’uguaglianza di classe, la rivoluzione rossa come veramente doveva andare; è la promessa di quell’amore eterno che accontenta tutti e non danneggia nessuno. Dovesse essere scelto un presidente della Terra, dato che il Dottore è un personaggio di fantasia la carica andrebbe di sicuro a Murakami Haruki, la Nutella fattasi uomo. E chi è che non la ama, la Nutella?