Stessa spiaggia, stesso mare o del tormentone estivo

Poi improvvisamente l’estate svaniva, da ponente arrivavano grandi nuvole grigie cariche di pioggia e gli odori acri della pineta si tramutavano in folate di vento freddo.
Sapore di mare, film del 1982
Cos’hanno in comune brani distanti nel tempo come Tre parole, cantato da Valeria Rossi nell’estate del 2001, Abbronzatissima, interpretato da Edoardo Vianello nell’ormai lontano 1963 e quel Vamos a la playa con cui i ‘fratelli’ Righeira fanno ballare tutta la penisola nell’estate del 1983? Anche i meno appassionati di musica pop italiana, probabilmente, sanno rispondere: tutti e tre sono considerati classici “tormentoni” estivi.
Il tormentone dell’estate, spiegano gli esperti musicali, è la canzone che, forte di un ritornello facilmente memorizzabile e di un ritmo tendenzialmente accattivante, si canticchia (e quasi sempre si balla) al primo ascolto e che, diffusa a ripetizione dalle radio, dalla tv e sul web, diventa irrimediabilmente il ‘tormento’ sonoro dell’estate in corso. Per quanto riguarda l’Europa sembra si tratti, almeno in origine, di un fenomeno peculiarmente italiano:
“Il Paese giusto era il nostro e un po’ anche la Francia dove le ‘grandi vacanze’ si celebrano quasi come un rito tribale, prima con la dieta ‘costume da bagno’, poi con la valigia di un’estate che passava in un attimo e ci ritrovavamo più stanchi di prima, ma con nelle orecchie, per un bel po’ indimenticabili, le note del tormentone” (Famiglia Cristiana, 19.7.2011)
Difficile dire quale sia il primo tormentone: per alcuni si tratta di Marina, con cui Rocco Granata raggiunge i vertici delle hit parade nel ’59 (“Marina, Marina, Marina, ti voglio al più presto sposar…”, ricordate?), per altri è invece Legata a un granello di sabbia, pezzo bocciato in quel di Sanremo ma riscattato nel ‘61 dalla voce vellutata dell’avvocato Nicola Colarossi, per tutti Nico Fidenco, che nel breve volgere di un triennio indovinerà almeno un altro successo estivo, l’ironica Con te sulla spiaggia. Quel che è certo è che siamo negli anni del ‘miracolo economico’; all’interno di un numero crescente di case la tv diffonde i caroselli della Cedrata Tassoni e della Brillantina Linetti, sulle spiagge di Rimini, Viareggio e Capri dai jukebox risuonano sempre le stesse canzoni. Una moneta da cento lire e, sorseggiando una coca cola, fra le dita una Muratti, si possono ascoltare tre brani di fila. Lungo tutta la penisola si moltiplicano le manifestazioni musicali radiotelevisive in cui a gareggiare sono quegli stessi pezzi, votati dal pubblico: una delle più note e longeve, Un disco per l’estate, fu inventata dalla Rai nel ’64 e nel tempo ha decretato vincitori tormentoni di breve respiro (si pensi ad Amore grande, amore libero de Il Guardiano del Faro, splendido pezzo strumentale del ’75) e altri d’imperituro successo come Luglio, cantato di Riccardo Del Turco nel ’68 ma il cui ritornello è ricordato ancora oggi.
Come nascevano e come nascono i brani-tormentone? Sono progetti creati ‘a tavolino’ o la fortuna gioca un ruolo determinante? Marco Stanzani ha di recente sottolineato quanto sia cambiato il rapporto fra i brani di successo – non solo estivi – e le radio italiane, che in passato sembrano aver avuto una maggior autonomia promozionale:
“Esattamente 18 anni fa scorrazzavo radio per radio, con una scassatissima Volvo, a presentare personalmente da Trento a Catania il progetto Lùnapop sul quale faticavo a raccogliere consensi dai direttori artistici dell’alta discografia. Il mio intento era quello di incontrare tutti i capi delle programmazioni radio e convincerli che 50 Special fosse la nuova Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte. Ora non potrei più farlo”.
Secondo il manager a cambiare le carte in tavola è stato il il fatto che la musica viaggia sempre più attraverso la rete e non necessita di supporti fisici; è poi da considerare che la musica non è più l’elemento preponderante per la radio ma è diventata “un collante che serve a fare in modo che chi ascolta non abbia la tentazione a cambiare canale in attesa che ci sia un nuovo intervento in voce”. Fino al 2000, 2002 il meccanismo funzionava al contrario:
“Era il periodo nel quale la radio decideva davvero quali sarebbero diventati i tormentoni estivi, non come ora che ci si limita a programmare i brani di artisti già consacrati dal punto di vista della notorietà e non si rischia più su giovani musicisti […] La differenza tra ieri e oggi sta nel fatto che la Lambada dei Kaoma ti trapanava il cervello partendo dalla radio. Nel nuovo millennio Happy di Pharrell Williams, o Andiamo a comandare di Rovazzi, li senti alla radio fino all’ossessione solo dopo che hanno ottenuto 500 milioni di views su youtube”.
“Rispetto a una quindicina di anni fa, al di là di alcuni network che effettivamente ancora un minimo si sforzano e lo fanno per uscire dal coro della ‘programmazione uniformata’”, ha concluso Stanzani, “la radio non è più il primo anello della catena alimentare del ‘successo fino alla nausea’, ma probabilmente solo l’ultimo. Ormai è tardi per decidere il contrario; è la rete che determina un successo. La Radio gli pone solo una ciliegia in testa”.
1963. “È stata chiesta a Paoli una sua impressione musicale sull’estate”, si legge sulla copertina dello spartito edito dalla RCA italiana del classico ‘balneare’ di uno dei cantautori italiani più amati di sempre, Gino Paoli: “Sapore di sale era un flash, un lampo di luce, uno stacco dalla realtà come dovrebbe essere una vacanza”, racconterà lui stesso a più di quarant’anni dall’uscita del brano (La Stampa, 9.8.2005). Supportata dall’arrangiamento coinvolgente di Ennio Morricone, Sapore di sale racconta, per dirla con Luigi Manconi, “l’allegria di troppo sole, troppi riverberi, troppo caldo. Un’allegria stralunata e miope, propria di chi si toglie gli occhiali, vede poco e male e si abbandona a quella cecità […] come a una condizione di felice minorità, di stordita e irresponsabile inconsapevolezza”.
Sapore di sale,
sapore di mare,
un gusto un po’ amaro
di cose perdute,
di cose lasciate
lontano da noi
dove il mondo è diverso,
diverso da qui.
Sembrerebbe esistere più di una chiave per ‘spiegare’ i tormentoni, compresa la loro capacità di resistere al tempo. Recentemente la rivista Psychology of Aesthetics, Creativity and the Arts ha pubblicato uno studio a firma di un’équipe di scienziati della Durham University, guidata da Kelly Jakubowski, in cui i brani-ossessione risultano essere accomunati da un ritmo veloce, una melodia generica e facile da memorizzare, contenente intervalli e/o ripetizioni che mancano nella gran parte delle altre canzoni pop (Sandro Iannaccone, ”’Non riesco a togliermela dalla testa’, quando la canzone è un’ossessione”, in Repubblica, 4.11.2016)
In generale, come si è accennato in apertura, il minimo comun denominatore del tormentone da noi è stato individuato nel ritornello accattivante e ballabile, in un testo tutto sommato volutamente semplicistico, spesso nonsense, talvolta prettamente superficiale, quasi sempre giocoso o tendente al paradosso (I watussi di Vianello). Per questa via il tormentone è diventato sinonimo di divertita filastrocca easy e scacciapensieri per ascoltatori di ogni età; il che è senz’altro vero, perché, come rileva Maurizio De Fazio, “tra un aperitivo e una spaghettata di mezzanotte, in infradito o in pareo, non puoi certo metterti a fischiettare il Requiem di Albinoni”.
Il tormentone estivo, però, non è soltanto questo. Esiste infatti un filo rosso poco valorizzato, anche perché sempre meno visibile man mano che ci si avvicina ai giorni nostri (e in questo potrebbe giocare un ruolo il nuovo modello di creazione/diffusione del tormentone-“collante” nel senso indicato da Stanzani). Nel testo di “Sapore di sale”, così come nella musica, abbiamo visto affiorare anche una certa malinconia, un evocativo, onirico struggimento. A ben guardare anche questo è un elemento che attraversa in maniera discontinua molta storia del tormentone estivo nostrano; non tanto come alternativa all’allegria un po’ frivola imperante quanto, come nel caso del brano di Paoli, come naturale commistione di sentimenti differenti, perfino contrastanti, veicolati dalle parole e/o dalla musica di una stessa canzone.
Con un salto di decenni, per esempio, in “Vamos a bailar” di Paola e Chiara (estate 2000) il “gusto un po’ amaro di cose perdute” è quello dell’abbandono di un amore soffocante e la canzone è una sorta di inno a seppellirne il ricordo attraverso la ricerca di una “vita nueva” coincidente con l’avvio dell’estate. Il richiamo all’amore sbagliato fa da contraltare ‘in minore’ alla “vita nueva” piena di aspettative:
Ho voluto dire addio al passato io
Eri un’ombra su di me
Su di me
Ora è tempo di essere
Nuova immagine
Cerco la mia isola via di qua
Via di qua
[…]
Vamos a bailar
Esta vida nueva
Vamos a bailar
Vamos a bailar
Esta vida nueva
Vamos a bailar
Anche nel testo di “Abbronzatissima”, una delle hit lanciate da quello che per molti è ancora il re incontrastato dei tormentoni balneari, Edoardo Vianello, c’è la voglia di godere appieno del sensuale momento-estate, percepito come “stacco dalla realtà come dovrebbe essere una vacanza”:
Sulle labbra tue dolcissimo
un profumo di salsedine
sentirò per tutto il tempo
di questa estate d’amor.
C’è anche, però, quello che abbiamo definito ‘struggimento’ e che ha qui la forma di un precoce languore nostalgico; mentre il protagonista del pezzo – che è sempre anche il potenziale ascoltatore – sta vivendo il momento-estate, sa già che al rientro delle vacanze ne avvertirà la mancanza. Questa consapevolezza, di nuovo, fa da timido controcanto all’allegria che resta centrale nel testo e nella musica (l’arrangiamento è, di nuovo, di Morricone):
Quando il viso tuo nerissimo
tornerà di nuovo pallido,
questi giorni in riva al mar
non potrò dimenticar.
Il tormentone in cui l’atmosfera malinconica è esplicita protagonista, nel testo prima ancora che nella musica, è probabilmente L’estate sta finendo, in cui i Righeira cantano:
L’estate sta finendo e un anno se ne va
Sto diventando grande, lo sai che non mi va
Una fotografia è tutto quel che ho
Ma stanne pur sicura, io non ti scorderò
A rendere ‘eterna’ questa canzone crepuscolare con cui nell’85 i Righeira vincono il Festivalbar bissando il successo di Vamos a la Playa, brano dal testo solo apparentemente superficiale per il quale due anni prima era stato coniato proprio il termine “tormentone”, concorre senza dubbio l’ipnotico, languido giro di sax, sdoganato come strumento estivo a pieno titolo proprio da questo pezzo insieme a una manciata di pochi altri tutti risalenti al decennio in questione (penso ad Amore disperato di Nada e ad Alghero di Giuni Russo).
E se la principale caratteristica che fa di un brano un tormentone di lunga durata non fosse, molto semplicemente, la sua capacità di permettere all’ascoltatore d’immedesimarsi (e dunque, ogni volta, re-immedesimarsi) all’istante e fino in fondo in quel che viene raccontato, evocato da suoni e parole? Ognuno di noi, in special modo se giovane, tende ad affrontare l’estate con un bagaglio di aspettative tutte positive e una tensione palpabile, sensuale alla libertà; bagaglio cui si accompagna sempre la consapevolezza della brevità di una stagione che troppo presto lascia il posto al tran tran di sciarpe, maglioni, raffreddori. E anche la consapevolezza, credo, che parte della bellezza dell’estate consista proprio in questa sua fugace, intensa eccezionalità.